I primi quattro capitoli, dimostrando che è erroneo concepire i cinque aggregati psicofisici come permanenti, spiega estesamente come sviluppare repulsione verso l’esistenza ciclica. Di essi, il primo capitolo spiega che, dal momento che i cinque aggregati contaminati sono prodotti in dipendenza da cause e condizioni, sono impermanenti. Descrivendo ampiamente come meditare su morte e impermanenza, mostra quindi la necessità di abbandonare l’erronea credenza nella permanenza.
Il secondo capitolo spiega come sia erroneo considerare ciò che è contaminato e impermanente come una effettiva fonte di piacere. Qualsiasi cosa sia impermanente è inadatta a essere una fonte sicura del proprio benessere ultimo; inoltre, gli aggregati contaminati sono per natura vulnerabili.
Il terzo capitolo spiega come eliminare l’errore del considerare l’esistenza ciclica [ovvero gli aggregati contaminati] come puri, dal momento che la sofferenza [che inducono] suscita sempre avversione.
Poiché è improprio provare orgoglio, considerando come il sé e come quanto appartiene al sé ciò che di fatto è impuro e va abbandonato, il quarto capitolo spiega come eliminare l’oggetto concepito dell’orgoglio: il falso sé che va negato in modo appropriato.
Questi quattro capitoli, pertanto, insegnando nel giusto modo le attitudini di un individuo di capacità intermedia, inducono alla comprensione che rimanere nell’esistenza ciclica sotto l’influenza del karma contaminato e delle afflizioni mentali è simile all’essere intrappolati in una fossa infuocata. Indirettamente mostrano poi il modo in cui le persone che hanno una disposizione mahayana generano la mente dell’illuminazione dell’aspirazione, che consente loro di desiderare l’ottenimento dello stato di un buddha. (Dal Commentario di Gyeltsab Je)
Aryadeva nacque tra il II e III secolo d.C. nello Sri Lanka, come figlio del re Pancasrnga, ma nonostante fosse destinato al trono preferì rinunciarvi e assumere l’ordinazione monastica. Memorizzò tutti gli insegnamenti theravadin prima di recarsi a Shriparvata, dove studiò il Mahayana, la Prajnaparamita e la filosofia Madhyamaka, diventando il principale discepolo di Nagarjuna, ed esperto in tutti i sistemi filosofici buddhisti e non buddhisti. Ad Aryadeva – che fu per molto tempo abate dell’Università monastica di Nalanda – si deve la composizione dei trattati fondamentali del Madhyamaka, tra i quali appunto Le quattrocento stanze.
Sua Santità il Dalai Lama durante un incontro pubblico, leggendo la prima strofa de “Le quattrocento stanze” di Aryadeva”, ha parlato dell’impermanenza grossolana che possiamo vedere chiaramente intorno a noi, ma anche dell’impermanenza più sottile implicita nel cambiamento momentaneo, che ha detto di aver osservato anche a livello subatomico attraverso un microscopio. La comprensione dell’impermanenza aiuta a sconfiggere l’ignoranza.