Ciascuno dei singoli Moduli tratta contenuti fruibili di volta in volta, pur rappresentando una precisa tappa dell’intero Corso.

I primi capitoli, insegnando nel giusto modo le attitudini di un individuo di capacità intermedia, hanno portato alla comprensione che rimanere nell’esistenza ciclica sotto l’influenza del karma contaminato e delle afflizioni mentali è simile all’essere intrappolati in una fossa infuocata, e che quindi è impellente sapere e adoperarsi per emergerne in modo definitivo. Indirettamente quelle spiegazioni inducono poi le persone che hanno una disposizione mahayana, a generare la speciale mente della grande compassione.

Si sta procedendo quindi con l’esposizione delle riflessioni e dei metodi effettivi da utilizzare per progredire gradualmente verso l’eliminazione di ogni nostro limite ed afflizione (cause di sofferenza) e la piena maturazione di ogni nostra qualità positiva (cause di felicità), fino al raggiungimento dello stato del perfetto risveglio proprio degli esseri illuminati, per metterci con sempre più numerosi ed efficaci mezzi abili al servizio di ogni altro essere senziente.

Aryadeva nacque tra il II e III secolo d.C. nello Sri Lanka, come figlio del re Pancasrnga, ma nonostante fosse destinato al trono preferì rinunciarvi e assumere l’ordinazione monastica. Memorizzò tutti gli insegnamenti theravadin prima di recarsi a Shriparvata, dove studiò il Mahayana, la Prajnaparamita e la filosofia Madhyamaka, diventando il principale discepolo di Nagarjuna, ed esperto in tutti i sistemi filosofici buddhisti e non buddhisti.

Ad Aryadeva – che fu per molto tempo abate dell’Università monastica di Nalanda – si deve la composizione dei trattati fondamentali del Madhyamaka, tra i quali appunto Le Quattrocento Stanze.

Lavorare per affrancarsi dagli stati mentali distorti, applicandosi con saggezza in pratiche appropriate e graduali

In che modo ci liberiamo dai legami dell’attaccamento al quale siamo assuefatti da un tempo senza inizio? Ebbene, questa e tutte le varie afflizioni mentali si possono abbandonare non solo vedendo gli inconvenienti a cui ci portano, ma anche perchè gli oggetti a cui si riferiscono – sia piacevoli che sgradevoli – sono privi di intrinseca esistenza. Per esempio, l’attaccamento dipende e opera in rapporto a una cosa desiderata che però non esiste come un’entità assoluta, dal momento che alcuni sono attratti da quell’oggetto, altri lo detestano e alcuni sono confusi da esso.
D’altra parte, è altrettanto importante cercare di comprendere le nostre disposizioni e attitudini nel miglior modo possibile, ricercando l’insegnamento e scegliendo le pratiche per le quali abbiamo un’inclinazione naturale. Se non valutiamo onestamente le nostre capacità e il nostro grado di sviluppo, può avvenire che intraprendiamo pratiche spirituali troppo avanzate. Così, quando non otteniamo la comprensione e le esperienze che esse dovrebbero indurre, proviamo delusione e poi le abbandoniamo. Quando intraprendiamo una qualsiasi pratica, non dovremmo compierla per competizione o per il desiderio di emulare gli altri, ma per convinzione personale. Per trarne benefici, dovremmo darle inizio in modo rilassato e misurato, senza forzarla. Una pratica regolare e moderata è più giovevole di scoppi sporadici di pratica intensa, spesso seguiti da apatia o addirittura avversione. Quando si getta un cumulo di ramoscelli secchi sul fuoco, esso fiammeggia vivamente per poco e poi si spegne, mentre un tronco non prende fuoco velocemente, però una volta acceso continua a bruciare a lungo e le fiamme sprigionano gradualmente sempre più calore!